
Viveva, non molto lontano dalla chiesa della Madonna dell’Arco, una certa Aurelia Del Prete maritata a Marco Cennamo, conosciuta in tutta la contrada per triste fama di bruttezza fisica e morale. Un giorno costei, spaccando della legna, si feri un piede e, temendo cose peggiori, fece voto alla Vergine dell’Arco che, se fosse guarita, in segno di riconoscenza avrebbe portato alla chiesetta una coppia di piedi di cera. Il lunedì di Pasqua di quell’anno 1589, cedendo alle preghiere del marito, che si recava alla chiesetta per portarvi un voto di cera promesso per una grave malattia agli occhi da cui era guarito, si accompagnò con lui trascinandosi dietro con una corda un porcellino, per trovare occasione di venderlo alla fiera che fin da allora si teneva nei dintorni del santuario. A causa della gran calca di popolo, il porcellino le sfuggì di mano e si mise a correre spaventato tra la folla. Aurelia, bestemmiando, imprecando, si diede a corrergli dietro e a cercarlo, e così venne a trovarsi dinanzi alla chiesetta proprio mentre il marito vi giungeva dall’altra parte con il suo voto. Il porcellino, per caso, era là, in mezzo a loro. A tale vista l’ira della donna, giungendo al colmo, esplose, e lei, sbattendo a terra il voto di cera che aveva portato il marito, lo calpestò bestemmiando e maledicendo l’immagine della Vergine Maria e colui che l’aveva dipinta e chi veniva a venerarla. La cosa continuò, nonostante le implorazioni del marito e di alcuni presenti. L’anno seguente una malattia ai piedi portò la donna a restare a letto fino a quando, nonostante le cure dei medici, nella notte tra la domenica di Pasqua e il lunedì, i piedi si staccarono dalle gambe. I parenti e Aurelia stessa collegarono la cosa al fatto sacrilego dell’anno precedente. Pur volendo tenere nascosto il tragico evento, la cosa si seppe e siccome l’evento poteva essere di monito per tanti fedeli, i piedi dell’Aurelia, dopo alcune vicissitudini, furono esposti nel santuario. In breve la fama di tale miracolo si sparse dappertutto; da ogni parte, fu un accorrere di fedeli e di curiosi che si recavano all’Arco per sincerarsi della cosa o per implorar grazie dalla Vergine. Di giorno in giorno la folla aumentò, divenne immensa, diventò preoccupante. Fu così necessario porre degli alabardieri e degli uomini armati lungo tutto il percorso per evitare inconvenienti. «Era – dice il Domenici – tale il rumore della moltitudine che pareva un mare quando sta in tempesta!». Il vescovo di Nola, monsignor Fabrizio Gallo, cercando di impedire una interpretazione superstiziosa del fatto, ordinò che si chiudesse la chiesetta, si sbarrasse il cancello del tempietto per impedire ai fedeli di venerare l’immagine. Poi volle sincerarsi personalmente dell’accaduto e il giorno 11 maggio, venuto all’Arco, istituì un regolare processo canonico. Interrogò il marito, il medico che l’aveva curata, Francesco d’Alfano, lo speziale Alfonso de Moda, il cavaliere Capecelatro e altri, e infine la stessa Aurelia Del Prete, e avuta relazione dell’accaduto, domandò ad essa cosa ne pensasse. La donna rispose: «Perché l’anno passato bestemmiai la Madonna Santissima dell’Arco e questa Quaresima non l’ho confessato: questa senza dubbio è la causa del castigo che ricevo allo scadere dell’anno». Così il vescovo, senza attendere la conclusione del processo, ritirò il divieto che proibiva ai fedeli di venerare l’immagine.