
Al termine della costruzione del Santuario, si pensò di sistemare per bene ed abbellire la venerata immagine della Madonna. Essa, posta all’immediato contatto con i fedeli, era spesso preda dell’esuberante devozione dei fedeli che facilmente ne scalfivano frammenti di muro per ricavarne una preziosa reliquia. Si pensò allora di costruire l’attuale Tempietto, affidandone il progetto all’architetto Bartolomeo Picchiatti. Fu durante i lavori per la costruzione del tempietto che avvenne il terzo miracolo della storia della Madonna dell’Arco, esattamente la notte del 15 febbraio 1621.
Così ne parla il padre Raimondo Sorrentino: “Dovendosi coprire di marmi tutta l’edicola, a lavoro già bene avviato si trovò un ostacolo insormontabile. Nel ridurre al tergo dell’Immagine lo spessore del muro per adattarvi le belle lastre di marmo già pronte, si trovò una pietra vesuviana, più grande delle altre, che occupava col suo volume tutto lo spessore del muro. L’Architetto, sempre presente quando dovevasi demolire o solo toccare parte dell’antica fabbrica, fece adagio e con ogni precauzione a liberare la pietra dalla malta che la rendeva compatta alle altre cercando di non causare guasti o danni irreparabili. Ma con suo spavento dovette subito accorgersi che la cosa era impossibile perché una punta della pietra si protendeva fino all’intonaco su cui era dipinta l’Immagine, in corrispondenza della guancia della Vergine. Si cercò invano di staccarla con ogni precauzione: bisognò smettere all’istante perché ad ogni piccolo sforzo l’intonaco stesso vacillava. Si pensò allora di segarla con lo smeriglio che usasi per le pietre preziose, ma anche questo espediente riuscì vano, perché la durezza della pietra richiedeva uno sforzo che si ripercuoteva sull’intonaco e tutto minacciava di crollare. Il povero ingegnere si vide vinto: tutta la sua opera era vana e lacrime spontanee gli colarono dagli occhi. Intanto nei vani tentativi era trascorso del tempo, ed erano già le quattro ore di notte, e ne l’ingegnere ne i frati sapevano, afflitti e sconfortati, trarsi di là, mirando quell’ostinata pietra che tutto il lavoro rendeva vano, e che pur non si osava toccare. Ad un tratto il Picchiatti ebbe come una improvvisa ispirazione. Si avvicinò alla pietra, ne prese in mano l’estremità sporgente e piangendo implorò:
“Vergine, benchè io sia indegno di qualunque grazia pure ti prego di ricordarti che quanto fo tutto eseguo per tuo onore e gloria! Donami questa pietra, Vergine! Donami questa pietra che tutto ostacola!”.
i frati intorno, commossi, senza parola, pregavano col desiderio e col cuore. Aveva appena finito la preghiera il Picchiatti, quando la pietra, che pur aveva resistito ad ogni mezzo tentato, immediatamente si spezzò, metà rimanendo a sostenere l’Immagine, metà cadendo nelle mani dell’architetto così a buon punto che l’arte non avrebbe potuto fare meglio. Dire la commozione dei presenti, i loro inni di gloria, di ringraziamento, è impossibile; sentirono tutti il bisogno nella notte stessa di cantare le litanie della Vergine ed altri inni di grazie.
Al mattino seguente fu pesata la parte di pietra staccatasi e trovata di sessantanove libbre e mezzo. A ricordo dell’accaduto i presenti stesero una minuta relazione e la pietra fu sospesa ad un pilastro del Santuario, dove ancor oggi si vede, quantunque scemata molto di volume perché i fedeli ne presero spesso dei pezzetti per devozione.”

Nella foto: La pietra Vesuviana ancora oggi esposta visibilmente nella Sala Offerte del Santuario della Madonna Dell'Arco
Fonte: Santuario della Madonna Dell’Arco – Pagina Facebook