
Dove oggi sorge il Santuario, nei pressi di un arco romano a Santa Anastasia, un tempo c’era un’edicola votiva dedicata alla Madonna. Tra il ‘400 e il ‘500 due miracoli accrebbero la fama della Madonna dell’Arco incoraggiando flussi di pellegrini e devoti. Pellegrinaggi durante tutto l’anno animano questo luogo sacro, ma di particolare suggestione è la processione dei Fujenti del lunedì in Albis. Una tradizione che si protrae da 5 secoli che richiama il primo miracolo della Madonna sanguinante. Un giocatore di pallamaglio, furioso per aver perso, colpì l’immagine votiva che prese a sanguinare. L’uomo iniziò a correre e a saltellare senza potersi fermare e per punizione fu impiccato. Così i fujenti, vestiti di bianco e a piedi scalzi, nell’ultimo tratto della processione, corrono freneticamente per espiare il peccato dell’empio giocatore. I fujenti portano in dono alla Madonna gli ex voto per grazia ricevuta. I fujenti (oppure comunemente denominati “Battenti”) vanno nella maggior parte dei casi, scalzi per voto e, sempre per voto, devono compiere di corsa almeno l’ultimo tratto del pellegrinaggio, forse in ricordo della corsa frenetica dello scellerato giocatore ed in espiazione del suo peccato. I pellegrini vestono ritualmente di bianco, simbolo di purezza, e portano sull’abito una fascia azzurra, il colore della Madonna, chiamata spesso proprio “Mamma Celeste”. I devoti appartengono agli strati popolari meno garantiti – dal sottoproletariato urbano al popolo contadino – di Napoli e delle provincie di quella che fu la Campania Felix. Sono organizzati in numerosissime associazioni, capillarmente diffuse sul territorio. La loro devozione consiste essenzialmente nel correre il lunedì in Albis fino al santuario. Ciascuna associazione il giorno della festa è rappresentata da una propria squadra detta “paranza”, che ha il compito di portare a spalla un “tosello”. Di solito una statua della Madonna dell’Arco in trono. La paranza è preceduta da uno o più stendardi che recano il nome dell’associazione, il luogo di provenienza e la data della fondazione. Segno visibile dell’impetrazione e delle gratitudine dei fedeli sono le migliaia di ex voto – i più antichi deiquali datano gli ultimi anni del Cinquecento – che tappezzano le alte pareti del santuario. Si tratta di una delle maggiori raccolte di arte popolare esistente in Europa: una ricapitolazione enciclopedica della pietà popolare. Oltre che una preziosa testimonianza relativa a quattro secoli di storia “minore”. Davanti alla chiesa i volti si fanno improvvisamente tesi. Il pellegrinaggio assume toni di intensa e dolente drammaticità. E’ l’oltrepassamento della soglia del tempio che, come in un rito antico, immette il fedele nello spazio sacro e fa precipitare le sue emozioni nei gesti da sempre ripetuti di una arcaica ritualità. Finalmente, in forme altamente teatrali, ha luogo l’abbandono al sacro, la crisi in cui culmina la lunga corsa dei fujenti. Da fuori giunge il battito ossessivo dei tamburelli che accompagnano le “tammurriate” (danze rituali che si svolgono all’esterno del santuario), dentro, la musica si fa grido. Il rito si avvia così alla sua conclusione e i pellegrini, prima di riprendere la strada del ritorno, affollano la grande fiera che si svolge nelle vie circostanti, sciogliendo la tensione devota nell’animazione della sagra. In queste forme estremamente teatrali ma , al tempo stesso, di intensissima religiosità, la figura dellaMadonna ferita, della madre amorosa e dolente, sembra assurgere a simbolo di protezione delle offese diuna sorte e di una società ugualmente ingiuste. E’ una sorta di sacralizzazione della maternità che conduce da secoli i battenti a chiedere protezione e grazia a quella che essi chiamano la Mamma dell’Arco, o la “Mamma di tutte le mamme”. Rispecchiando nel dolore dell’antica ferita della Vergine, la ferita del loro antico dolore.